Poco importa, avrebbe avuto tempo per allenare i bicipiti a sollevare coppe: cinque scudetti, altre tre Coppe Italia, un Mondiale per Club e una Champions League, agognata, aspettata, sollevata al cielo di Madrid.
All’arrivo in Italia era ala dal dribbling ubriacante, si reinventò terzino insuperabile, nel finale di carriera anche mediano di intelligenza e quantità. Negli ultimi anni diradò le sortite offensive, scegliendole però con attenzione: un gol alla Roma che valse uno scudetto, un assist a Milito a Siena ne valse un altro. Arrivò da straniero, ormai è italiano, anzi “milanese”, a tutti gli effetti, pur avendo sempre preferito, per vivere, la tranquillità di Como e la bellezza del suo lago.
Detiene praticamente tutti i record immaginabili per chi ha indossato la maglia interista: l’ha fatto 858 volte, per 73284 minuti, 160 volte in Europa, 47 nel derby, tredici anni da capitano, sedici trofei sollevati. Il più presente anche nella storia della nazionale Argentina, per far capire il valore e la rilevanza internazionale di Pupi, come viene soprannominato fin da bambino e come si chiama anche la sua Fondazione.
Dal 2001 infatti Javier e sua moglie Paula hanno creato una Onlus che aiuta bambini e adolescenti in Argentina. Per un caso, dall’arrivo di Zanetti nel 1995 venne introdotta la numerazione fissa nel calcio italiano, con il cognome del giocatore sopra, prendendo spunto dalla Premier League, a sua volta imitatrice degli sport americani.
Sopra la numero quattro, per tutta la storia del Football Club Internazionale, non ci sarà scritto null’altro che Zanetti.
L’uomo dei record. Javier Adelmar Zanetti arrivò nel ritiro dell’Inter a 22 anni, con le scarpe in un sacchetto di plastica e tra l’indifferenza generale: i cronisti aspettavano Sebastian Rambert, che dei due argentini era senza dubbio il più reclamizzato. Andò diversamente: Rambert tornò in patria quasi subito, Zanetti salutò quarantunenne un San Siro in lacrime per lui. In mezzo, una carriera eccezionale, sempre corretto, esemplare, con il medesimo sorriso e lo stesso taglio di capelli. Segnò un gol memorabile per il suo primo trofeo, la Coppa UEFA 1998, mancò la prima premiazione da capitano, la Coppa Italia del 2005, causa concomitanza con la Copa America.
Poco importa, avrebbe avuto tempo per allenare i bicipiti a sollevare coppe: cinque scudetti, altre tre Coppe Italia, un Mondiale per Club e una Champions League, agognata, aspettata, sollevata al cielo di Madrid.
All’arrivo in Italia era ala dal dribbling ubriacante, si reinventò terzino insuperabile, nel finale di carriera anche mediano di intelligenza e quantità. Negli ultimi anni diradò le sortite offensive, scegliendole però con attenzione: un gol alla Roma che valse uno scudetto, un assist a Milito a Siena ne valse un altro. Arrivò da straniero, ormai è italiano, anzi “milanese”, a tutti gli effetti, pur avendo sempre preferito, per vivere, la tranquillità di Como e la bellezza del suo lago.
Detiene praticamente tutti i record immaginabili per chi ha indossato la maglia interista: l’ha fatto 858 volte, per 73284 minuti, 160 volte in Europa, 47 nel derby, tredici anni da capitano, sedici trofei sollevati. Il più presente anche nella storia della nazionale Argentina, per far capire il valore e la rilevanza internazionale di Pupi, come viene soprannominato fin da bambino e come si chiama anche la sua Fondazione.
Dal 2001 infatti Javier e sua moglie Paula hanno creato una Onlus che aiuta bambini e adolescenti in Argentina. Per un caso, dall’arrivo di Zanetti nel 1995 venne introdotta la numerazione fissa nel calcio italiano, con il cognome del giocatore sopra, prendendo spunto dalla Premier League, a sua volta imitatrice degli sport americani.
Sopra la numero quattro, per tutta la storia del Football Club Internazionale, non ci sarà scritto null’altro che Zanetti.