Julio Cesar
Vedere un adulto piangere lascia sempre una sensazione di straniamento. Sapere che quelle lacrime non sono di dolore, ma sono di emozione, gioia, di sentimenti che ti bruciano dentro e che non riesci a nascondere, fa ancora più effetto. Pensateci, a Julio Cesar. Alle volte che lo avete visto con gli occhi lucidi, la voce incrinata. Vestiva sempre la maglia dell'Inter, in quelle occasioni. No, non era fragilità. Quelle lacrime sono sempre state amore incondizionato per i nostri colori, commozione per i traguardi raggiunti, felicità intima e incontenibile per le vittorie. Julio Cesar Soares Espindola, nato a Duque de Caxias, stato di Rio de Janeiro, il 3 settembre 1979, arriva in Italia nel gennaio 2005. I primi sei mesi in prestito al Chievo sono un ambientamento e allo stesso tempo una scuola. Guarda, apprende, non gioca, ma aspetta il suo momento. All'Inter trova Francesco Toldo, guarda caso Hall of Famer nerazzurro nel 2019. Diventano una coppia di portieri che dipingerà le pagine più belle di quegli anni straordinari. Julio, con il suo numero 12, ha scalato le gerarchie. Spodestare un numero 1 non è mai facile. Ma quella con Toldo non è mai stata una rivalità. Descrivere la sua esplosività, la sua capacità di lettura delle situazioni, banalmente le sue parate, pare esercizio superfluo. Julio Cesar è stato tra i migliori portieri della sua epoca, ha corso nel solco degli straordinari portieri nerazzurri inciso da Giuliano Sarti e percorso poi dagli altri, da Bordon a Zenga, da Pagliuca fino appunto a Toldo. Poi lui, Julio. Il volo sul tiro di Messi, il rigore parato a Ronaldinho, la freddezza nel respingere, di piede, il tiro di Müller a Monaco. Flash, momenti indelebili, parate immortali che lo hanno issato, insieme ai compagni, sul tetto d'Italia, d'Europa, del mondo. È stato il nostro Acchiappasogni: li ha raccolti, i nostri sogni nerazzurri, li ha cullati con i suoi guantoni, e ce li ha restituiti, reali. Luccicano ancora. Sui trofei vinti e nei suoi occhi.