Giuseppe Meazza
Quando lo videro nello spogliatoio, i suoi compagni di squadra rimasero sorpresi e un po’ indispettiti: “Ora facciamo giocare anche i Balilla?”. Era il 1927 e non avevano ancora capito ciò che Arpad Weisz aveva invece intuito: il diciassettenne che sarebbe sceso in campo quel pomeriggio sarebbe diventato uno dei più grandi giocatori della storia dell’Inter e del calcio italiano. A Milano, Porta Vittoria, lo chiamavano Peppin. Per tutti, Giuseppe Meazza. Il primo vero idolo calcistico, il mito che tutti volevano imitare. Perché in campo era imprendibile e imprevedibile, trascinante. Fuori, poi, icona di stile. Quando trascinò l’Italia alla vittoria contro l’Ungheria a Budapest nel ’30, trovò 25mila persone impazzite di gioia ad aspettarlo alla stazione di Milano. Era venerato. Aveva classe, scatto e fiuto del gol. “Sono centravanti per vocazione, mezzala per necessità”, diceva. I suoi tocchi erano morbidi e precisi e per questo poteva agire da regista offensivo, ma la sua natura lo portava a segnare, col destro o con il sinistro.
Aveva invenzioni geniali. Di fatto brevettò il “gol a invito”: aspettava il portiere e lo trafiggeva al primo movimento, oppure lo dribblava. Innovatore, è il miglior marcatore della nostra storia: 284 gol con la maglia dell’Inter in 408 presenze. 14 stagioni nerazzurre con due Scudetti e una Coppa Italia oltre all’orgoglio sconfinato di essere stato il nostro capitano per nove anni.
L’intitolazione dello stadio di San Siro è stato un passaggio naturale. Giuseppe Meazza viene spesso definito “il più grande di tutti”. Lo è stato per noi nerazzurri ma anche per tutti i tifosi italiani ai quali ha regalato due Coppe del Mondo (1934 e 1938) sempre da protagonista. “Io voglio essere come Meazza”, dicevano i bambini, mentre Peppin dribblava tutti prima di gonfiare la rete e soprattutto i sogni dei tifosi dell’Inter. Che hanno l’onore, oggi come allora, di ammirare la stella infinitamente brillante di Giuseppe Meazza nel firmamento nerazzurro.