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Il derby di Elio: "Lo vivrò davanti alla TV, guardando..."



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10 mag 2023
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L'intervista a Elio, a poche ore dal fischio d'inizio del derby: "Ci trascina Dimarco. Ma io questa sera ho già un impegno"


La foto qui sopra risale al 2002. Elio, al secondo anello verde di San Siro, dirige i tifosi nerazzurri che cantano, per la prima volta, “C’è solo l’Inter”. Oggi, nel giorno del derby della semifinale d’andata di Champions League, in esclusiva a inter.it racconta la sua attesa per la partita di questa sera.

Il cronometro corre. La tensione cresce. Nella testa di tutti, un solo pensiero. E sensazioni miste, che si intrecciano giù nello stomaco, che complicano la giornata. C’è da arrivare fino alle 21:00, bisogna aspettare il fischio d’inizio. Per poi fare 90 minuti di apnea, ai quali si aggiungeranno altri giorni e un’altra attesa. È la settimana tipo dei tifosi, inutile negarlo.

Elio, a Madrid, prima della finale del 2010, continuavi a ripetere una frase per stemperare la tensione.. “Tanto è un gioco, tanto è un gioco, tanto è un gioco. È chiaro che non è assolutamente così, è chiaro che non è solo un gioco. Ma mi serviva allora e mi serve adesso per fingere indifferenza. È l’unico modo che ho per affrontare questi giorni, questa settimana. Sì, fingerò indifferenza”.

E quindi, questo derby, come lo vivrai? “Guardando un bel documentario in TV, sicuramente di storia, magari qualcosa sul Medioevo. L’angoscia è talmente alta che non è possibile per me assistere a un match di questo tipo. Solo dopo il fischio finale mi informerò sul risultato. E solo in un caso andrò a guardare gli highlights. Altrimenti farò come se nulla sia mai accaduto”.

Eppure Elio era un tipo da stadio… “Di più, io sono un combattente che mostra con orgoglio le ferite del campo. Io c’ero nei giorni delle sconfitte più brutte ma c’ero anche nei giorni più belli. Come nel 1974, quando l’Inter vinse il derby 5-1 in casa del Milan”.

Quel giorno avevi 13 anni. Era già più di un gioco, quindi. E avevi una grande passione per… “Non era solo una passione. Mario Corso ha indirizzato tutta la mia vita, fin da quando ero piccolo. Il numero 11, i calzettoni abbassati, il suo stile. Ho sempre giocato con la maglia numero 11, a calcio e a baseball”.

C’è solo Corso, e c’è solo l’Inter. “Quando ho scritto C’è solo l’Inter e sono andato in sede per farla ascoltare, per la prima volta, a Massimo Moratti, entrando nella sede dell’Inter ho incontrato proprio Mario Corso. Mi sono detto: questo è un buon segno. Poi, dopo l’ascolto, ho visto che proprio Corso aveva gli occhi lucidi. Ho capito che ci avevo azzeccato”.

C’è solo l’Inter: perché davvero, per tutti noi, l’Inter è qualcosa che permea le nostre vite in maniera incredibile. “Il pensiero dietro questo inno è stato semplice: ho fatto un inno non per la squadra, ma per chi tifa per la squadra. Esprime quello che sentiamo noi interisti”.

Se prima c’era Corso, poi c’è stato Nicola Berti. “Il killer dei derby. Con lui abbiamo passato anche molti momenti simpatici, una volta siamo stati anche a casa sua per la presentazione del nuovo disco”.

E adesso, chi stimola il tuo interismo da derby? “Senza dubbio Federico Dimarco. Intanto è di Milano, è interista e gioca nell’Inter: non è frequente come combinazione di fattori. Ha continuità di gioco, ha personalità. E poi ho scoperto che il negozio in cui vado a comprare la frutta è quello del suo papà: ci vado da sempre, di recente ho scoperto che è il signor Dimarco. Ci vado ancora più volentieri”.

Ok, ma il derby sta arrivando. Nessuna scaramanzia, nessun pronostico? “Le scaramanzie non mi interessano, non servono. C’è l’ansia, tanta. Ma c’è solo una ricetta. Bisogna essere forti. E questa squadra è capace di tutto”.

Ci sarà un modo, però, per arrivare al fischio d’inizio in condizioni accettabili… “Si possono ascoltare le mie canzoni, volendo. Almeno quelle sono tutte allegre”.


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