Ferri e le sfide con la Juventus: "Quel mio salto in cielo, più su di Rummenigge..."



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6 mar 2020
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Lo storico difensore nerazzurro presenta la sfida di domenica ricordando il suo primo gol in Serie A


MILANO - "Adesso c'è da non crederci, ma una volta era proprio così. Soprattutto se avevamo la partita in casa la domenica, e non importa che fosse una sfida qualsiasi o Inter-Juventus: stavamo in ritiro, arrivavano i nostri amici, si giocava alla carte, a biliardino, a biliardo. Sembrava di stare all'oratorio, era un calcio diverso". Riccardo Ferri ne ha viste di tutti i colori, in particolare il nero e l'azzurro. L'oratorio, il paese. Era partito da lontano, dalla Capralbese, quando a 14 anni arrivò la chiamata dell'Inter. "Non capitava tutti i giorni che un ragazzino di paese finisse nel settore giovanile dell'Inter. Le emozioni di quei giorni le rivivo ancora oggi, vividissime". Non gli faceva certo strano, quindi, preparare una sfida importante nella maniera più naturale possibile. "Quello resta il periodo più bello della mia vita".

Passato anche per sofferenze e paure, quella di non farcela: "Mi ruppi un braccio, una frattura brutta e scomposta. C'era la possibilità che non tornassi più a giocare, invece esordii con l'Inter l'11 novembre 1981, con Bersellini". Il via ad una carriera bellissima, una storia d'amore nerazzurra chiusa nella serata trionfante della Coppa Uefa 1994, quando sia Ferri che Zenga salutarono il mondo Inter per trasferirsi alla Sampdoria.

Domenica l'Inter affronterà la Juventus e nella mente di Ferri si materializzano una serie di immagini nette, indimenticabili: "Sono quelle delle figurine con cui giocavo. Le scambiavo, ci vedevo sopra Zoff, Cabrini, Brio, Gentile. Poi, senza quasi accorgermene, mi trovai in campo, a sfidarli. Ma non ci ho mai perso il sonno, era più l'entusiasmo e la felicità di essere lì, a vivere quei momenti".

"Quella di Torino è sempre stata una trasferta tosta, la Juventus ha sempre lasciato poco agli altri sul suo terreno di gioco. Una sfida complicata, allora come oggi: dal punto di vista caratteriale, tecnico e tattico. Anche se, lo confesso, la sfida che mi esaltava, che mi faceva emozionare più di tutti, era per forza di cose il derby con il Milan. Per me, interista, era il massimo".

Le figurine, dicevamo: "A 21 anni mi sono ritrovato a marcare Platini, poi mi toccavano sempre gli attaccanti più rapidi e insidiosi, come Paolo Rossi, Rui Barros o Ian Rush. Mi porto nel cuore l'Inter-Juventus dell'11 novembre 1984. Vincemmo 4-0, una partita dominata, con tre gol di testa su quattro. Segnammo io, Rummenigge (due volte) e Collovati. Il gol non me lo posso dimenticare, il mio primo in Serie A, per giunta contro la Juve: punizione dal lato sinistro dell'area, cross di Brady. Io avevo forza e talmente tanta esuberanza che saltai più in alto di Rummenigge, anticipandolo. Poi corsi ad abbracciare il mio mentore e riferimento, Gian Piero Marini. Con il quale, poi, nel '94, mi congedai dall'Inter con la Coppa Uefa".

Juventus-Inter si giocherà a porte chiuse: "Doveroso, perché la salute deve essere messa al primo posto. Non mancheranno le motivazioni, perché se è vero che è sicuramente diverso dalle sfida con il pubblico, resta un crocevia importante per il campionato". E poi, l'Inter, come ai tempi di Ferri, schiererà come sempre una batteria di difensori di altissimo livello: "Sì, ci sono analogie con i miei tempi. Il calcio ovviamente è cambiato, ma tutti i centrali dell'Inter hanno dimostrato di avere delle capacità tecnico-tattiche fuori dal comune". E allora via, non resta che correre verso la sfida di domenica.


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