Javier Zanetti ospite presso il Lincoln College di Oxford



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17 mag 2018
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Nella splendida Oakeshott Room della prestigiosa Università britannica, il vice-presidente nerazzurro è stato protagonista di un incontro riguardante etica e valori dello sport


OXFORD - Nel pomeriggio di ieri, il vice-presidente nerazzurro Javier Zanetti è stato protagonista di un incontro sul tema dell'etica e i valori dello sport, presso il Lincoln College di Oxford. Invitato dagli ideatori e organizzatori dell'evento Giovanni Pasquali e Cristian Trovato, rispettivamente presidente emerito e presidente della Oxford University Italian Society, Zanetti ha dialogato per oltre un'ora con i moltissimi studenti riunitisi nella splendida Oakeshott Room dell'Università britannica. Queste le parole rivolte da Zanetti all'interessatissima platea:

"Modelli positivi, questo dobbiamo essere per i ragazzi che ci seguono con passione. Non dovremmo dimenticarlo mai. L'educazione che ho avuto in dote dalla mia famiglia, mi aiutato molto a non perdere di vista le cose importanti. Ogni nostro comportamento è sotto gli occhi di milioni di persone. Bisogna trasmettere i valori educativi e positivi dello sport per aiutare milioni di bambini a crescere nel rispetto reciproco e nella lealtà".

"Tornando indietro con la memoria a quando ero bambino, ricordo che il mio sogno è sempre stato quello di giocare a calcio. L'esempio dei miei genitori mi ha insegnato la cultura del sacrificio in ogni cosa facessi. Mano a mano che crescevo la passione per questo sport aumentava sempre. Quando un giorno, da bambino, un allenatore dell'Independiente, la squadra per cui tifavo, mi ha detto che non avrei più potuto giocare perché ero troppo piccolo, ci rimasi malissimo. Così ho cominciato a lavorare con mio padre e ho iniziato a dare grande valore alla fatica che lui doveva fare ogni giorno. Una volta abbattendo un muro a mazzate in un cantiere insieme a lui, all'improvviso mi chiese cosa volessi fare da grande. Gli risposi che volevo solo giocare a calcio. Lasciando indietro la delusione di quell'esclusione da quella squadra che amavo tanto riprovai ancora una volta e così ebbe inizio la mia carriera di calciatore".

"È stato difficile lasciare l'Argentina da giovanissimo. Non mi aspettavo la chiamata dell'Inter, io giocavo in una squadra piccola e pensavo ci sarebbe voluto del tempo prima di approdare al calcio europeo, quindi all'inizio ero spaventato. Per fortuna negli anni ho sempre avuto accanto a me una persona fantastica come Paula, mia moglie. È stata una scelta importante, mi ha cambiato immensamente la vita, ma io rimango con i piedi ben saldi per terra e non dimentico mai da dove sono venuto, questo è sempre stato il segreto per a tenere il giusto equilibrio. Dopo i 90 minuti di una partita non ho mai fatto fatica a smettere i panni del calciatore e a reindossare quelli della persona qualsiasi, per me è sempre stata una cosa naturale".

"Il primo ricordo di San Siro? Non vedevo l'ora di giocare al 'Meazza' e ricordo anche l'esordio con il Vicenza, 1-0 con gol di Roberto Carlos. Si giocava la domenica e io il venerdì sera ho portato i miei genitori a fare un giro in macchina allo stadio per farglielo vedere di sera illuminato e dire loro dopodomani giocherò quì. Un'emozione indescrivibile. La mia posizione preferita in campo? Gli allenatori si sono sempre fidati di me e mi schieravano dove avevano più bisogno, quindi ho fatto praticamente tutti i ruoli tra centrocampo e difesa. La mia posizione preferita è stata quella di centrocampista di destra. L'anno del Triplete giocavo sulla stessa fascia con Maicon e avevamo un accordo: che quando lui attaccava io lo coprivo e lui sapeva benissimo che poteva rientrare in difesa anche passeggiando tanto c'ero sempre io a coprirlo".

"Il ruolo del capitano? Un capitano deve soprattutto far vedere con l'esempio. Un capitano non è quello che urla di più. Io sono diventato capitano molto giovane e tutti i miei compagni mi hanno rispettato perché sapevano che non avevo altro interesse al di fuori del bene della squadra".

"Come è nata l'idea della Fondazione Pupi? Oltre al calcio la mia altra passione è occuparmi di chi ha bisogno. Nel 2001 in uno degli anni più difficili per la storia dell'Argentina abbiamo deciso, mia moglie Paula ed io, che era giunto il momento di fare qualcosa per chi non era stato fortunato come noi. Dagli allora 34 bambini, sono diventati più di 1000 le persone di cui la fondazione si occupa. All'inizio non potevamo immaginare che potesse diventare così grande, conosciuta addirittura a livello mondiale. Ci tengo a dire che questo è potuto avvenire anche grazie alla generosità degli italiani".

"Investitori stranieri? Credo sia un fatto molto positivo che un investitore straniero sia disposto a impegnarsi direttamente nel nostro calcio. È un bene dal punto di vista economico, ma anche culturale e sociale. Suning rappresenta un esempio molto importante. Noi siamo famiglia, internazionali, impegnati nel sociale, è il nostro dna. Questo è il punto di partenza e la famiglia Zhang lo ha capito perfettamente, fin dal primo giorno".

"Roberto Mancini nuovo CT della Nazionale?  Prima di tutto grande intenditore di calcio, conosce profondamente il calcio italiano. Non sarà un compito facile il suo, ma ho grande fiducia che possa fare un ottimo lavoro. Saranno importanti anche i giocatori che avrà a disposizione e la loro volontà di sacrificarsi e impegnarsi al massimo delle loro possibilità. Mancini, infine, ha una grande esperienza internazionale che potrà portare in azzurro".


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